1 ottobre 1948, Ernest Hemingway sul Lago Maggiore

“Il Grand Hôtel des Iles Borromées era aperto e lo erano anche altri alberghetti che non chiudevano mai. Mi avviai nella pioggia verso il des Iles Borromées portando la valigia. Vidi una carrozza che scendeva lungo la strada e feci un cenno al vetturino.

Era meglio arrivare in carrozza. Raggiungemmo l’entrata del grande albergo, il portiere uscì con un ombrello e fu molto gentile… L’albergo era molto lussuoso.

Percorsi i lunghi corridoi, scesi le ampie scale, attraversai i saloni fino al bar. Conoscevo il barman e mi sedetti su un alto sgabello e mangiai mandorle salate e patatine. Il Martini era fresco e pulito”

(Ernest Hemingway, Addio alle armi)

Un Hotel che fa rimanere letteralmente senza fiato appena si varca il cancello, dal giardino al minimo dettaglio in una camera è un vero e proprio viaggio nella bellezza, nel tempo e nella storia.

Come si può raccontare l’emozione di essere nelle stanze dove, nel 1918, Ernest Hemingway trovò l’ispirazione e scrisse parte del suo capolavoro Addio alle armi? Difficile descriverlo, com’è arduo raccontare l’incantesimo di trovarsi sul grande terrazzo che, sul fronte dell’Hotel, si apre sul magnifico panorama delle Isole Borromee.

La ricchezza e l’eleganza del letto, tra stucchi, specchi, scrivanie, la foto di Hemingway vicino alla sua macchina per scrivere, tutto ricorda quegli anni favolosi, dove scrivere era fondamentale per molti scrittori americani che vissero parte della loro esistenza in Europa, con punto di riferimento Parigi, spingendosi spesso sui nostri laghi, dove presero poi l’ispirazione per molti capolavori. Spesso legandosi e legandoli in maniera forte al territorio.

“Ho l’impressione che qui da noi si viva a metà. Gli italiani, invece, vivono fino in fondo” disse in una lettera a un amico Hemingway, che fu sempre molto legato all’Italia, fin da quando, giovanissimo, diciottenne allo scoppio della Grande Guerra si arruolò come volontario della Croce Rossa sul fronte del Piave.

Il giovane Ernest, da poco maggiorenne, venne assegnato a Schio e poi fece la spola tra Marostica e Monastier, ma, spinto dal desiderio di avventura, il ragazzo si recò a ridosso del fronte, presso Fossalta di Piave dove, l’8 luglio 1918,  sotto il fuoco degli austriaci, fu ferito a entrambe le gambe da schegge di mortaio, ma ciò non gli impedì di portare in salvo un soldato italiano. Un gesto che gli valse la Medaglia d’argento al Valor Militare italiana.

Hemingway sarebbe poi tornato in quel luogo, negli anni seguenti, con le sue mogli, per cercare di capire quello che gli era successo, trovando infine la pace solo negli anni Cinquanta, quando scavò una buca sulle rive del fiume deponendovi un biglietto da mille lire, per significare di aver lasciato sangue e denaro in Italia.

Ora una stele ricorda quel gesto eroico e porta incise le parole dello scrittore “Sono un ragazzo del basso Piave”.

Ernest fu curato a Milano nell’ospedale della Croce Rossa in via Cesare Cantù, poco distante dal Duomo, dove conobbe il suo primo amore, la ventiseienne Agnes Von Kurowsky, che gli ispirò Catherine Barkley, la protagonista di Addio alle Armi.

Nel settembre 1918, in attesa della guarigione delle sue ferite, Hemingway trascorse una breve vacanza a Stresa, alloggiando nella Suite numero 106 dell’elegantissimo, fascinoso e scenografico Grand Hotel des Iles Borromées. Maestoso, aristocratico, signorile, ricercato, albergo in stile liberty con un’incredibile vista sulle Isole Borromee, le Alpi e la costa lombarda, dove tutto profuma di stile, raffinatezza, charme, e trasuda storia, letteratura, arte.

Hemingway, da quel momento, conservò per la cittadina piemontese un posto speciale nel suo cuore. Già durante i primi giorni del soggiorno, scrisse in una lettera indirizzata ai suoi genitori oltreoceano: “I’m up here in Stresa, a little resort on Lake Maggiore. One of the most beautiful Italian lakes”.

Stresa, le sue colline e i paesini sparsi tra il lago e le vette, colori e profumi, probabilmente in qualche modo gli ricordavano la sua natia Oak Park e il lago Michigan.

Fu proprio in quel periodo, durante quel soggiorno sul lago che iniziò l’amore, durato tutta la vita, per Stresa, il Verbano e il suo territorio. Zone che vennero poi citate espressamente in Addio alle Armi, dove nel ventunesimo capitolo si parla per la prima volta espressamente del lago, di Stresa e Pallanza.

Lo scrittore lo descrive in maniera romantica, quasi tratteggiandolo in maniera delicata nei suoi primi colori autunnali.

Nelle descrizioni di Hemingway risaltano con evidenza i luoghi, i tratti distintivi del Verbano, delle isole, e sembra di rivederli ancora adesso, anche se passandoci accanto, il tempo e la modernità in alcuni tratti ne hanno cambiato il profilo.

Hemingway sarebbe tornato a Stresa altre due volte nel 1927 e nel 1948, sempre al Grand Hôtel des Iles Borromées, per rivivere il fascino della sua cittadina preferita, in compagnia della seconda,  Pauline Pfeiffer, ricchissima ereditiera e redattrice di Vogue, quindi della quarta moglie Mary Welsh, inviata di Time e Life.

Nell’ottobre 1948 lo scrittore sbarcò infatti a Genova con Mary Welsh e una Buick roadmaster azzurra decapottabile dello stesso anno.

E doveva davvero fare un effetto sorprendente, veder sfrecciare la grande decappottabile di quest’americano famoso. Un’auto di dimensioni importanti, forme piuttosto arrotondate, col suo paraurti cromato, i cerchioni delle ruote lucenti, il volante grande, belle signore accomodate sugli eleganti sedili, certo attirava l’attenzione degli abitanti e dei primi turisti che tornavano a ripopolare il lungolago di Stresa, dopo gli anni duri della guerra.

Per Hemingway quello di Stresa era davvero un momento magico, ritrovava i posti della giovinezza e della sua prima vera ispirazione e viveva periodo di grande fama e successo.

Il Grand Hôtel des Iles Borromées era non solo l’elegante luogo amato, era anche la sua “base operativa”, in albergo concesse interviste agli inviati dei più noti quotidiani del mondo, incontrava i personaggi del jet set del tempo.

Poco lontano, in quel di Meina, possedeva una villa, il suo editore italiano Arnoldo Mondadori, con cui s’intratteneva molto e non solo per le discussioni sui contratti relativi ai suoi libri. E ancora oggi nella villa di Meina, dove fu ospite diverse volte, la sua firma è riconoscibile sul camino della sala e si trova anche la stanza dedicata allo scrittore di Oak Park.

Hemingway approfittò del soggiorno a Stresa per portare Mary in gita in diversi luoghi sul Lago Maggiore, tra i cui è ricordata una gita a Pallanza, ma anche puntate sul Mottarone con il suo splendido paesaggio e il Lago d’Orta, luoghi che lo avevano affascinato decenni prima da giovane e solo, e ora li riviveva in età adulta con una compagna e una fama immensa.

Luoghi e persone che gli restarono a lungo nel cuore e nel profondo e alcuni dei suoi soggiorni furono particolarmente lunghi.

Al termine del suo viaggio, nell’ottobre 1948, lasciò un messaggio sul libro degli ospiti dell’hotel, firmandosi semplicemente “an old client”, un vecchio cliente. Un messaggio di sole tre parole che è diventato iconico come lo è ancora oggi il Grand Hôtel des Iles Borromées.

Uno scrittore che ha avuto una vita da romanzo, un hotel che ha visto fare la storia, vissuto chissà quante storie, romanzi, racconti e quante ne avrà ispirate.

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